martedì 16 marzo 2010

CHE COS’È UNA C.A.S.A. SENZA UNA CITTÀ ?!

in un video di L. Cococcetta compare il cartello che riportiamo nel titolo perché i cittadini che mangiano e dormono, ma non vivono nelle 183 case dei 19 C.A.S.E. rivendicano il sacrosanto diritto di riappropriarsi del centro urbano, liberandolo dalle macerie e ricostruendo la comunità.

Infatti, dobbiamo considerare che un insieme di quattro o venti edifici residenziali non costituisce una città, tuttalpiù una semplice lottizzazione. Non osando più chiamarle “new town”, le hanno denominate semplicemente “C.A.S.E.”, onde poter facilmente equivocare con “case” o per poterne camuffare l’impropria nomea estesa di Complessi Antisismici Sostenibili & Ecocompatibili.

Comunque si intenda denominarle, queste lottizzazioni residenziali sono abusive sia perché “legittimate” solo da “ordinanze” d’emergenza sia per tre diverse ragioni tecniche:

- a) perché prevalentemente ricadenti in aree a destinazione urbanistica “agricola” o riservata a “servizi generali”, quindi per usi non residenziali;

- b) per via dell’utilizzo di tipologie edilizie (case plurifamiliari in linea a tre piani, su piattaforme antisismiche abnormi) che generalmente risultano in contrasto con il contesto ambientale ed edilizio circostante;

- c) per la mancata realizzazione o “monetizzazione” di tutte le opere d’urbanizzazione secondaria (servizi e pubbliche attrezzature, ovvero asili nido, scuole materne, scuole dell’obbligo, biblioteche, chiese, ambulatori, campi gioco e sport, mercati di quartiere, ecc.) che, per legge, sono indispensabili e non differibili tanto quanto le opere di urbanizzazione primaria (strade veicolari e pedonali, parcheggi, reti di adduzione dell’acqua e dell’energia, l’illuminazione, fognature, impianti di smaltimento dei rifiuti, ecc.).

Sul piano formale, già il TAR ha considerato che la semplice urgenza d’edificare, quand’anche legata ad una emergenza oggettiva, non giustifica il ricorso sistematico ad una procedura in deroga alla normativa vigente di carattere sociale, ambientale, urbanistico. Forse, quello che è stato provato per la “new town” sicula sarà riproposto anche per le recenti 19 sorelle abruzzesi. Tuttavia, sarà arduo contraddire il giudizio finale di Sua Emittenza su “quell’autentico miracolo che abbiamo realizzato a L’Aquila: un’impresa straordinaria che i maggiori urbanisti internazionali considerano un modello per il mondo intero”. Non tanto perché gli urbanisti, che difficilmente sono come certi direttori di giornali e di telegiornali, non confermeranno una tal menzogna, ma perché leggi “ad eventum” potrebbero aver reso solo più difficile un ricorso d’illegittimità amministrativa.

Sul piano sostanziale, invece tutta l’argomentazione è assai più facilmente sostenibile. Anzi, almeno su due punti, è già stata sostenuta dall’antropologo Antonello Ciccozzi, con arguzia e coraggio, in numerosi testi. In quello più recente, si prova anche come tale operazione urbanistica costituisca, “ipso facto, un esempio di corruzione che vede coinvolto il sistema della Protezione Civile in concussione con l’amministrazione locale aquilana, con l’appoggio di una imponente propaganda mediatica, e tra lo stordimento, la troppa distrazione o il silenzio-assenso dei comitati e della società civile in generale riguardo il connotato della localizzazione di tale progetto”. Condivido interamente il discorso del docente di antropologia culturale all’UNIVAQ e, nel raccomandarne l’acquisizione diretta, non riporto altre parti solo per non banalizzarle. Sulla terza questione invece, conviene aggiungere quanto segue.

Se la residenza (l’insieme delle case) è condizione necessaria ed indispensabile perché esista la città, fin da “quando l’insediamento era ridotto ad un castello, ad una rocca, ad un monastero e le popolazioni vivevano nelle campagne, sparse e senza collegamento alcuno, il concetto di città era in crisi profonda o addirittura non si rilevava l’esistenza della città”. [Carlo Bassi] La residenza costituisce un dato fondamentale nella concezione stessa della città e l’area destinata a questa funzione può anche condizionare la forma stessa dell’insediamento urbano. Tuttavia, la residenza, ovvero l’organizzazione urbana in funzione dell’abitare, non determina e non caratterizza la città. Solo i cosiddetti “monumenti” sono in grado di conferire all’aggregato urbano un senso distintivo ed essenziale. Perciò, gli elementi “primari” che hanno funzionato, ed ancora funzionano come cellule di aggregazione tanto della comunità quanto delle altre parti edificate e funzionali di tale aggregato, sono l’âme de la cité [G. Chabot].

Dopo undici mesi, a L’aquila, l’anima della città è ingombra dalle macerie ma non è morta. Ai cittadini sparsi forzatamente nei C.A.S.E. in alberghi, nelle caserme e nelle “autonome sistemazioni”, domenica mattina è arrivato un sms in dialetto: "te sci rizzatu? Stengo ecco da na frega d'anni, ma se oggi non ve', scendo da sto piedistallo e me ne vajo. Rizza gli amici, piglia la carriola. L'Aquila è la te". Ma, la statua di Sallustio, che campeggia sulla piazza, è poi rimasta ad osservare compiaciuta in quanti sono accorsi gioiosi ed operosi a ripulire la piazza affinché la vita della città riprendesse.


Realmente, forse miracolosamente. Con continuità. Accorreranno ogni domenica e poiché ci si domanda: “Che cos’è una città senza una politica ?!”, dalla prossima, ci sarà anche uno spazio di discussione aperto a tutta la cittadinanza, “per individuare una mappa dei bisogni e le priorità dalle quali partire”. Si chiamerà: "L'Aquila anno 1. Spazi aperti per un'agenda dei bisogni". Anna (Miss Kappa) dice: "Qui non si scherza: stiamo attuando la vera democrazia dal basso."
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E nella residenza di periferia, come si vede in quest'altro video, le cose non sono certo migliori.

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